Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 26 nr. 225
marzo 1996


Rivista Anarchica Online

Utopia vuol dire che non vogliono farlo
traduzione di Stefano Viviani

In un'intervista del '67 alcune linee-base del Goodman-pensiero

Paul Goodman risponde alle domande di Roger Barnard, Bob Overy e Colin Ward.

Roger Barnard: La maggior parte delle persone sembra immaginarti come un «pensatore utopista», e infatti uno dei tuoi libri s'intitola Utopian Essays and Practical Proposals. Invece per quanto ne so, tu stesso ti sei definito in più di un'occasione un «pragmatista». Si tratta di una contraddizione, o tu la vedi diversamente?

Paul Goodman: Be', io non sono certo un utopista nel senso convenzionale del termine. Ad ogni modo, la gente che usa la parola utopia in genere la usa come fosse un anatema. Utopico significa che non vogliono farlo! Capisci, fondamentalmente non sono interessati, hanno altro in mente. Ma se con utopia intendiamo che qualcuno ha una nozione preconcetta su come dovrebbe essere a grandi linee il mondo, e desidera imporla ad altre persone, penso che questo sia fascismo. Non m'interessa. Mi sembra un'oppressione assoluta.
In realtà ci sono davvero molte cose che nella presente situazione potrebbero essere fatte molto meglio, con maggiore convenienza e molto più semplicemente. In genere ciò richiede un atto di volontà o di potere politico. Come possiamo fare per convincere il potere politico per fare anche le piccole cose: per esempio prendere il denaro che viene utilizzato per il sistema scolastico pubblico di New York e dividerlo per migliaia di piccole scuole indipendenti? Questo sarebbe molto meglio di quello abbiamo ora. Non costerebbe di più, non richiederebbe altri insegnati e così via. Vedi, non vi è nulla di «utopistico» in questo genere di schema, eccetto che non hanno intenzione di farlo!
È una questione di potere. Ovviamente, è anche una questione di azione politica. Ora, io ho un rapporto terribile con la politica. Invece, a chi lo fa di professione puoi dire: ascolta, il modo di farlo è questo, adesso vai e fallo. Allora lui ti risponde: ma per questo ci vuole potere. Certo che ci vuole potere. Dunque prendiamoci il potere!
C'è qualcos'altro che posso fare. È una specie di trucco. Gli americani - e sono abbastanza sicuro che vale in tutte le tecnologie avanzate - sono assolutamente illusi dall'idea che il modo in cui le cose vengono fatte oggi è inevitabile, e che non si può fare nulla, a causa della complessità della tecnologia moderna, dell'urbanizzazione galoppante, dell'esplosione demografica, della rivolta del Terzo Mondo e così via. Questi sono inganni. Dunque, per cercare di sciogliere un po' gli americani dal punto di vista psicologico, mi sono allenato a escogitare un certo numero di schemi scervellati su ogni questione. Come dire: pensi che questo sia l'unico modo di farlo? Non è così. Si può fare anche in questo modo, guarda, oppure in quest'altro, visto. Ora, a me non interessano granché questi schemi in sè stessi, capisci, se non politicamente: mi piace formularne di interessanti. Ma psicologicamente il punto è lasciare vedere, per esempio, che questa eccessiva centralizzazione non è necessaria. Non riesce nemmeno a essere all'altezza della sua stessa giustificazione, vale a dire, essere efficiente. Così devi tirare fuori dalla tua testa dei piccoli modelli. Questo non significa che tu debba necessariamente suggerire questi modelli per l'applicazione. Quello che fai è semplicemente dire: ascolta, riflettici su.
Naturalmente, a volte ciò comporta delle conseguenze. Prendi, per esempio, gli Students for a Democratic Society. Il loro manifesto di fondazione, il Port Huron Statement, era stato tratto quasi interamente da un paio di miei libri. Ma poi sono arrivate anche alcune idee decentraliste. E non sono idee mie che loro hanno ripreso. Le loro idee sono specifiche per quella data situazione, come d'altronde dev'essere. Se vuoi sapere come fare assistenza sociale in alcune piccole città americane, non ti metti a leggere un po' di teoria e non ci pensi a priori. Osservi la gente. E guardi quello di cui c'è bisogno. Ma il fatto che si possa fare sulla base di un decentramento, questo sembra glielo abbia insegnato io. Ora, se prendi un po' dei miei schemi alla lettera, seriamente, come qualcosa da fare e sviluppare davvero, forse si potrebbero definire «utopici». Ma questo non m'interessa. In realtà penso sarebbe perverso spiegarli nel dettaglio, infliggerli alla gente. È chiaro?

RB: Sì. In effetti, è vero allora che ti vedi più come una sorta di catalizzatore attivante?

PG: Questo è giusto. Ma poi ci sono molte altre cose che sono davvero terribilmente semplici, e basterebbe fare. Per esempio, prendi il nostro Off-Broadway Theatre di New York. Per un certo tempo, quando c'erano i Beck, quello era il teatro migliore che si potesse desiderare. Ma avevamo fatto tutto di testa nostra. Julian Beck e io ci eravamo trovati e avevamo detto: ok, non possiamo avere un teatro, useremo qualcos'altro. Julian è molto intraprendente, e ha trovato un vecchio grande magazzino. Ok, lo ristruttureremo. Così ci siamo ritrovati tutti lì, abbiamo cominciato a mettere i primi mattoni e a dedicarci il tempo che avevamo e quello è diventato il Living Theatre. Cosa c'era di «utopico» in tutto questo? Adesso molte persone direbbero: è impossibile, capisci, ci sono troppe pressioni commerciali nella zona di Broadway e via con l'elenco. Ma queste sono solo un mucchio di stronzate. Non è affatto impossibile. Se ne parli, è Utopia. Se vai e lo fai, certamente non è Utopia.

RB: Cosa pensi dell'idea che, nelle sue piccole dimensioni, questo genere di progetto fai-da-te possa in qualche modo minare le strutture del potere?

PG: Be', penso che se usi questo come tuo scopo, è perverso. Dovremmo fare tutto per il piacere di farlo. Come diceva Lawrence: fate una rivoluzione per divertimento, questo è tutto. Che è come dire, non voglio strumentalizzare i ragazzi svantaggiati del Lower East Side per cercare di minare il sistema. Voglio educarli, punto. Poi, se il processo di educazione porta a minare il sistema, tanto meglio. Ma penso che tutti gli altri modi di procedere siano illegittimi. Mi spiego, sacrificare il tempo e il cervello e il talento e le energie e i figli della gente per i propri scopi, o meglio, per qualunque dannato scopo lontano dalla gente reale, è perverso. Tuttavia, lasciami dire che oggi, in America, se fai qualsiasi cosa di sensato è sempre rivoluzionario. Qualsiasi cosa! E bisogna farla!
Ma c'è un altro aspetto del problema. Se prendiamo, per esempio, una cosa come la guerra del Vietnam, dove siamo andati davvero a torturare e a fare impazzire la gente, allora devi impegnarti a fermarla. Può essere noioso, ma questo non toglie che devi farlo. Non possiamo permettere che degli avieri sgancino bombe sulle teste di povera gente. Non c'è assolutamente nulla di divertente nel bruciare la propria cartolina precetto, o nello stare rinchiuso in prigione, o nel farsi malmenare durante una manifestazione, o altro. Ma non hai scelta. Capisci? Queste sono questioni diverse. Cioè, se sei impegnato in qualche impresa, lo fai perché ti fa piacere, e se si tratta di una buona impresa porterà necessariamente a un mondo migliore. Dall'altra parte, quando sta succedendo qualcosa di diabolico, come la guerra nel Vietnam, devi cercare di fermarla. Questo è un punto che a Errico Malatesta stava molto a cuore. Se ci avessero lasciato in pace, allora saremmo a posto. Ma non vogliono lasciarci in pace! Ad ogni modo, Malatesta vedeva chiaramente la linea sottile che ci separa dalla violenza: se ci lasciassero in pace, non saremmo violenti. Ma non hanno nessuna intenzione di togliersi dai piedi. Insistono con le loro tasse ecc., per pagare le bombe. Ma noi non vogliamo quella roba. Quindi, non paghiamo le tasse. Io sono un obiettore fiscale, ma non siamo abbastanza.
Per funzionare il potere dovrebbe essere sempre strettamente legato alla funzione. Le cose vanno davvero male quando c'è un seggio di potere astratto che finisce per esercitare che si sviluppa svolgendo funzioni. Il potere dovrebbe essere davvero strettamente correlato a ciò che è necessario per svolgere la funzione. In altre parole, se voglio dello spazio per fare del teatro, dell'attività, o una riunione scolastica o qualcos'altro del genere, voglio tutto il potere che occorre per garantirmi il libero accesso a quello spazio quando lo sto usando, e non di più. E quando non lo sto usando, allora non dovrei avere nessun potere su di esso. Meglio di così credo che non lo potrei spiegare.

Colin Ward: E rispetto all'erosione del potere di coloro che lo detengono?

PG: Se impediscono alla funzione naturale di procedere, come di fatto fanno costantemente, allora lo devi erodere. Non hai scelta. Se non vogliono che la vita vada avanti, devi fermarli. Ma naturalmente questo non significa che devi sostituire il loro potere. Significa che devi sbarazzarti del loro potere così che tutti abbiano meno potere possibile.

RB: È come dire che devi fare delle incursioni nel loro potere con la tua libertà, o sbaglio, ed estendere le sfere della libera azione fino a che, si spera, non costituiranno la gran parte della vita sociale?

PG: Sì, questo è un altro modo di guardare il problema, ma davvero non potrebbe importarmene un accidenti, almeno fino a che non si mettono a uccidere i contadini.